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Autonomia Differenziata e indipendentismo

Sardigna Natzione Indipendentzia

È evidente che le regioni forti stanno chiedendo l’Autonomia Differenziata per averne un privilegio rispetto alle regioni da loro considerate deboli, non produttive e assistite da loro che si autodefiniscono locomotive dello stato italiano.

Il loro è un evidente ragionamento egoistico e persino razzista che alla espoliazione storica che hanno imposto alle regioni deboli vogliono aggiungere anche la beffa.

La storia nascosta dell’Italia racconta come lo stato italiano sia stato costruito e da dove originano le disparità territoriali. Quella storia, la vera storia, racconta come con guerre di espansione camuffate da liberazione siano stati rapinati e poi annessi con referendum truffa i territori oggi deboli, racconta come coloro che si opponevano siano stati dichiarati briganti o banditi per poterli mettere poi al muro o ridurli in prigione o in miseria.

Per la Sardegna racconta anche le “operazioni speciali” di banditizzazione, di militarizzazione e di operaizzazione forzata per sradicare la politica endogena, sostituirla con quella esogena e finanziare di fatto, solo e unicamente, il capitalismo delle “regioni forti”.

L’Italia è questo, è uno stato, che pretende di essere nazione, costruito espandendosi con le armi su territori di altri stati e rubando una corona allo stato del regno di Sardegna, una prigione dove altre e vere entità nazionali sono tenute prigioniere e in sudditanza di sviluppo impedito per alimentare la loro locomotiva.

L’art. 21 della loro costituzione ci riconosce il diritto di opinione e di pensiero ma l’art. 5 non ci permette di esistere per quello che siamo, sardi siamo. Può uno che non esiste esercitare il libero pensiero e la libera opinione? Lo può fare ma solo se accetta di essere altro e non sé stesso, di guardare il mondo dal Duomo di Milano e non da Mont’e Prama.

Noi sudditi sottomessi in anelito di libertà, da Mont’e Prama come la vediamo questa proposta di Autonomia Differenziata che per i malati di centralismo tricolore si potrebbe configurare in un tentativo di secessione e di attentare all’indivisibilità della loro amata nazione?

Se davvero così sarà noi patrioti sardi non potremo che smettere di ascoltare e cominciare a suonare per dare il via ai balli, questa volta nostri. Sarebbe una opportunità storica che porrebbe le basi di interrelazioni libere e non costrette tra entità collettive, tra popoli, per una nuova Europa e per un nuovo mondo insieme anche a coloro che si riconosceranno nel popolo italiano.

Per favore non ci si chieda di andare in trincea per difendere l’indivisibilità dell’Italia, noi nelle trincee del Carso non ci torniamo, abbiamo, costretti, già dato e già versato per difendere gli interessi di chi oggi vuole ottenere privilegi con l’autonomia differenziata.

Entrando nel merito, da Mont’e Prama, pur non perdendo il solidarismo che ci è naturale come popolo, distinguiamo bene la Sardegna dal resto del mondo e constatiamo che i sardi di fatto sono già in autonomia differenziata, non perché siamo in autonomia speciale ma perché ci paghiamo di tasca, come neanche le regioni locomotiva fanno, spendendo la metà del bilancio regionale, la Sanità, il traporti interni e la continuità territoriale.

La sanità la paghiamo di tasca, 4 miliardi e 400 milioni, ma non abbiamo possibilità di gestirla noi, non possiamo per esempio decidere sul numero di specializzandi o cancellare il numero chiuso in medicina. Modificando le competenze di cui all’art. 117 magari la sanità potrebbe passare di competenza della regione, conseguire migliori standard e non dover pagare ogni anno 700 milioni di euro alle regioni locomotiva per cure nelle quali siamo carenti, oltre che non dover versare la quota che versiamo per il sistema sanitario statale a carico del quale loro sono e noi no.

Con la autonomia differenziata potremmo acquisire potestà legislativa sul governo del territorio e sulla produzione dell’energia per impedire la rapina gratuita, in base ad autorizzazioni rilasciate dal governo, del nostro vento e del nostro sole, vere e proprie materie prime per l’utilizzo delle quali avremmo la possibilità di applicare il regime di cava e passare dalle autorizzazioni alle concessioni, come in Basilicata per il gas che viene estratto, e chiedere non solo l’installazione degli impianti in luoghi da noi indicati ma specialmente il giusto importo di concessione, 50% dei profitti, ai corsari del vento che attualmente bardanano la terra sarda.

Potremmo avendo competenza esclusiva sulla produzione energetica avere un sistema energetico a importazione zero, a emissioni zero e a combustibili fossili zero che produce energia unicamente da fonti rinnovabili, vento, sole e acqua e usa gli elettrolizzatori ad idrogeno come accumulo e sistema di stabilizzazione. Un sistema a smart-grid organizzato per comunità energetiche e prosumer, interconnesso con la super-grid europea tramite il sacoi, sapei e Tyrrenian Link.

Potremmo impedire il furto delle accise, 4 miliardi di euro, sui prodotti petroliferi che con la beffa della loro configurazione fuori dall’isola ci vengono sottratti e incamerati dallo stato.

Potremmo risolvere la vertenza entrate e incamerare direttamente le imposte dirette e indirette e pagare poi allo stato le quote che gli spettano in base all’art. 8 dello Statuto Regionale. A Tale proposito diamo merito all’anomalia Renato Soru, subito eliminata, che ha ottenuto la riforma dell’art.8 dello statuto ottenendo la sovranità sulla sanità e l’incasso da parte nostra di alcune imposte anche se pagate fuori dal territorio sardo. Uno spazio di sovranità che tanti indipendentisti e sardisti avversano perché non ne hanno capito l’importanza e tanti centralisti tricolori vorrebbero cancellare perché dà alla Sardegna una sovranità che solo gli stati hanno e che considerano un primo passo verso quella che loro chiamano secessione e noi liberazione.

Potremmo riappropriarci della competenza sui nostri beni archeologici, istituire la Soprintendenza Beni Culturali Sarda e farci restituire tutto quanto hanno prodotto i sardi nella loro storia facendo della nostra isola un “museo a cielo aperto” con la più alta densità di reperti archeologici al mondo. Quei reperti scrivono la nostra storia e abbiamo il diritto di leggerli noi e non chi la nasconde per scrivere la sua iniziata millenni dopo la nostra.

Potremmo avere competenze sulla scuola, sull’istruzione, avere una scuola sarda organica alla nostra cultura e ai nostri modelli sociali ed economici, una scuola aperta al mondo e non monoculturale e di integrazione forzata nella quale si entra shardana e si esce centurioni.

Potremmo essere riconosciuti come minoranza linguistica a livello costituzionale, per la lingua sarda e non per le lingue sarde, come per Valle D’Aosta, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, provincie di Trento e Bolzano ed istituire il bilinguismo ufficiale e istituzionale, nelle scuole di ogni ordine e grado, negli uffici e in qualunque ambito dove oggi è ufficiale unicamente l’italiano.

Potremmo avere competenza esclusiva in materia di relazioni con l’estero e potremmo superare l’essere cancellati dall’Europa e l’essere impediti di avere relazioni dirette con tutta la mediterrania , area della quale siamo al centro, siamo l’ombelico, l’omphalos come dice Sergio Frau e come ci ha ricordato nella sua breve visita del 14 febbraio 2023 l’ambasciatore francese Christian Masset.

Sono tanti i potremmo, le potenzialità, tutte possibili se a contrattare con lo stato ci fosse la politica endogena, quella che nasce dai diritti e dalle necessità dei sardi, e non quella esogena che per funzione è organica ad altre necessità e indispensabilità.

La politica esogena è quella che ha umiliato i sardi dichiarandoli non in grado di bastare a sé stessi e ha chiesto l’introduzione dell’insularità in costituzione e come capita sempre in questi casi hanno chiesto un leone ed hanno ottenuto un topolino. Hanno chiesto che venisse introdotto in costituzione: ” Lo stato riconosce il grave e permanente svantaggio che deriva dall’insularità e dispone le misure necessarie a garantire un’effettiva parità e un reale godimento dei diritti individuali e inalienabili” ed hanno ottenuto: “La Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità.” Che è davvero un topolino, come rileva Omar Onnis in una riflessione che condividiamo e riportiamo in virgolettato:

<< L’intenzione era di obbligare lo Stato a fornire mezzi e finanziamenti straordinari alle isole (a tutte, non solo alla Sardegna, ovviamente), non sulla base di una valutazione contingente e nell’ottica di misure eventuali, occasionali, bensì come dotazione standard, ordinaria. Tale risultato è stato del tutto frustrato. Come si evince dalla lettura dell’art. 119 della costituzione, non lo Stato (quindi l’amministrazione centrale, governo e parlamento) bensì la Repubblica (ossia, le regioni stesse e tutte le articolazioni anche periferiche dello Stato) “riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”.

La Repubblica “riconosce” (senza stabilirne natura e dimensioni) le “peculiarità delle isole” (formula vaga e giuridicamente vuota) e “promuove le misure”, cioè, non le attua direttamente, non precisa chi debba farsene carico, né le quantifica. Una formulazione retorica e sostanzialmente pleonastica>>.

L’evidenza di questo fallimento, voluto per ingannare i sardi e chiuderli in una fusione forzata con il territorio nazionale italiano, si palesa evidente nelle dichiarazioni rilasciate dal giurista Gaetano Armao, ex vicepresidente siciliano e coordinatore dell’intergruppo insulare nel Comitato delle regioni Europee, a proposito del post insularità in costituzione: <<Ma se prima, a tale scopo (insularità), nella legge di stabilità nazionale avevamo ottenuto 100 milioni di euro per la Sardegna e altrettanti per la Sicilia, ora che il principio è entrato in Costituzione sono stati stanziati appena 5 milioni da dividere tra le isole>>.

Tornando al dunque, per noi indipendentisti, prodotto politico generato dal mai sopito anelito di libertà e di sovranità del nostro popolo, nel percorso che ci porterà inesorabilmente alla fine della dominazione italiana in Sardigna abbiamo l’obbligo di cogliere tutte le opportunità e tutti gli spazzi di sovranità che si incontrano. L’autonomia differenziata può essere una opportunità, può presentare spazzi di sovranità se i sardi avranno la volontà di coglierli togliendo la delega elettorale alla politica esogena e dandola alla politica endogena, facendo una chiara scelta di campo, prendendo atto di bastare a se stessi e di non dover chiedere elemosine a chi le sofferenze le ha causate.

Ci rendiamo conto che nell’ambito italiano ci saranno regioni, specialmente tra quelle espoliate dalle regioni forti per alimentare il loro sviluppo, che a differenza della Sardegna riterranno comunque di avere seri danni dalla autonomia differenziata. Noi saremo solidari con loro e disponibili a sostenere le iniziative di lotta che riterranno opportune ma se in Sardegna si creeranno le condizioni di autogoverno suddette, se sarà la politica endogena a governare, ci batteremo per strappare allo stato tutti gli spazzi di sovranità che saranno alla nostra portata.

E’ chiaro che in nessun caso aderiremo a comitati che in Sardegna, mettendo avanti la difesa delle regioni discriminate dalla eventuale autonomia differenziata, di fatto manifestano la loro funzionalità al centralismo dello stato e la difesa della unicità della nazione italiana nonché la negazione del diritto di autodeterminazione del popolo sardo.

Tornando a O. Onnis e condividendone il contenuto chiudiamo con le sue parole: << in uno scenario appena meno mortificante dell’attuale, la Regione Sardegna potrebbe e dovrebbe partecipare al processo di riforma con una propria posizione forte, propri obiettivi, una prospettiva di autogoverno e di democrazia finalmente realizzata>>.

Sardigna 12/02/2023

Documento del Cussitzu Natzionale del 12/02/2023

Sardigna Natzione Indipendentzia

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